giovedì 7 gennaio 2010

Beni confiscati ai terroristi. Dall’11/9 solo 24 milioni

Terroristi a corto di liquidi? A sentire l’amministrazione Usa le principali organizzazioni che minacciano la sicurezza dell’Occidente sarebbero quasi alla canna del gas. Tutto merito della costante e massiccia azione di contrasto messa in atto dall’intelligence statunitense. E tanto sarebbero vuote le tasche dei terroristi che Al Qaeda nel corso del 2009 avrebbe lanciato per ben quattro volte una sorta di campagna di sottoscrizione per mandare avanti la sua attività. Quattro appelli agli adepti sparsi per tutto il mondo allo scopo di racimolare oboli, donazioni e offerte per rimettere in sesto il bilancio. A rivelare la circostanza, qualche settimana fa, è stato David Cohen, il numero due del servizio Usa incaricato di togliere ossigeno al terrore chiudendo i rubinetti dei flussi di denaro.
Eppure, a sfogliare l’ultimo rapporto trasmesso dal Dipartimento del Tesoro Usa al Congresso la situazione sembrerebbe meno rosea. Anzi, a scorrere la tabella che riguarda i fondi confiscati o sequestrati dall’intelligence nell’ambito del contrasto al terrorismo si direbbe che la guerra finanziaria alle organizzazioni si stia rivelando un flop clamoroso.
Complessivamente, dall’11 settembre, i beni delle organizzazioni terroristiche bloccati si fermano a quota 24 milioni e 880mila dollari. Di cui 11 milioni 504mila ad Al Qaeda, 8milioni e 480mila ad Hamas, 4 milioni e 218mila a Hezbollah. Pochi spiccioli sono poi i soldi sequestrati alle Tigri del Tamil (496mila dollari), ai Mujahedin (112mila), alla Jihad islamica e palestinese 63mila). La situazione non cambia di molto se si considerano i beni congelati di proprietà dei Paesi sponsor dei terroristi. In tutto, tra Cuba, Iran, Corea del Nord, Siria e Sudan, si tratta di 323 milioni di dollari. Somme che in gran parte si riferiscono al valore degli immobili detenuti nel territorio degli Stati Uniti per attività diplomatiche.
Tutto qui? Sembra proprio di sì. Certo, non è facile scovare i flussi di denaro clandestini che arrivano nelle mani dei terroristi e solo una parte dei finanziamenti alle organizzazioni passa per istituzioni che si trovano sotto la giurisdizione di Paesi Occidentali. Ma le cifre snocciolate dal rapporto del tesoro statunitense farebbero venire i capelli dritti a qualsiasi amministrazione. Basti pensare che in soli 19 mesi, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, il governo Berlusconi ha confiscato alla criminalità organizzata 2.842 beni per un controvalore di 1,8 miliardi, mentre quelli sequestrati sono stati 11.410 per un controvalore di 6,2 miliardi.
Sarà un caso, ma a fronte di quelle briciole recuperate dalla Casa Bianca c’è una finanza islamica che fa faville, anche con la crisi più nera. Anzi, più il mondo si ferma, più il denaro che circola all’ombra della sharia cresce. Nel 2009 la stima degli asset complessivi gestiti dalla finanza islamica nel mondo è di 822 miliardi di dollari, in aumento del 28,6% rispetto ai 639 del 2008. E la previsione per il 2010 parla di un balzo a 1033 miliardi di dollari. Movimenti di denaro che provengono per la maggior parte (il 42,9%) dai Paesi del Golfo, con una percentuale altissima detenuta dall’Iran, il cui segmento di mercato arriva al 35,6% del totale. Fuori dal Medio Oriente la parte del Leone la fa la Malesia, con un 10,5% del totale. Ma il business dell’industria finanziaria islamica, secondo un recente intervento del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, coinvolge ormai più di 600 intermediari e copre oltre 50 Paesi, con ritmi di crescita e di espansione elevatissimi.
Tra qualche giorno a Londra si terrà la 18esima edizione del prestigioso convegno International Islamic Finance Forum. Seguire l’intero evento, 4 giorni, costa poco meno di 2mila dollari. Un po’ caro, ma forse è il caso che Obama ci mandi lo stesso qualcuno dei suoi 007.

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